
MILANO – La pianista, cantante e compositrice cubana Jany McPherson, nome emergente della scena jazz internazionale, si esibirà sabato 19 aprile al Blue Note di Milano: in programma due set, rispettivamente alle ore 20.30 (ingresso 30-35 euro) e alle 23 (ingresso 20-25 euro). L’artista cubana presenterà in trio, insieme a Luca Bulgarelli al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria, i brani del suo album A Long Way oltre a una manciata di pezzi tratti dal precedente Solo Piano!, e proporrà alcune rivisitazioni personali di grandi standard internazionali.
L’innato senso ritmico derivato dalla sua terra natia, la profonda e toccante intensità interpretativa delle sue ballad, l’aspetto melodico sempre in primo piano, la capacità di rendere ogni brano facilmente memorabile, gli inaspettati cambi di atmosfera e le travolgenti progressioni armoniche e melodiche della sua musica, ricca di sfumature e di una gamma cromatica unica, insieme all’originalità del fraseggio e del linguaggio improvvisativo, definiscono l’unicità e la riconoscibilità del suo stile pianistico e compositivo, capace di catturare l’essenza delle sue origini senza mai cadere in cliché o stereotipi. L’abbiamo intervistata.
Buongiorno signora McPherson e ben trovata. Lei si è esibita spesso in Italia, ma mai a Milano. Lo farà per la prima volta sabato 19 aprile al Blue Note: che concerto sarà?
«In realtà avevo già suonato a Milano, ma in piano solo, nei giardini della Triennale nel giugno 2021, in occasione del festival Piano City. Al Blue Note sarà la mia prima esibizione in trio. Presenterò il mio ultimo album “A Long Way”, che non ho mai eseguito a Milano».
La sua cifra stilistica è ben precisa, anche se la sua musica è ricca di sfumature ed è una sintesi tra vari generi e stilemi. Dopo gli studi classici, si è avvicinata al jazz: come è avvenuto questo passaggio?
«Il jazz è sempre andato di pari passo con i miei studi di pianoforte classico, solo che non l’ho studiato in modo accademico, ma piuttosto attraverso l’ascolto. Durante i miei anni di studio ho ascoltato Keith Jarrett, Michel Petrucciani, ma anche Chucho Valdés, Irakere e Ivan Lins e tutto questo ha alimentato la mia cultura del jazz. Ho iniziato a conoscerne le armonie moderne, mentre cercavo di trascrivere ciò che ascoltavo nelle registrazioni e imparavo a leggere gli accordi con l’aiuto di mio padre, anche lui musicista».
Come nascono le sue composizioni?
«Non c’è una struttura predeterminata, ma in generale le idee melodiche arrivano per prime, a volte accompagnate da testi. Altre volte mi metto a improvvisare sequenze di accordi al pianoforte e, quando qualcosa di buono emerge, inizio a sviluppare un tema. In realtà non c’è una linea da seguire, mi lascio piuttosto guidare dall’ispirazione del momento».
Quanto conta l’improvvisazione nella sua musica?
«Nella mia musica l’improvvisazione è sempre presente. Anche se le mie composizioni hanno una struttura ben definita, c’è spazio per l’improvvisazione, benché non sia il tema principale della mia musica».
Si è fatta conoscere con l’album Solo Piano!, ma la grande notorietà è arrivata grazie al suo secondo disco, A Long Way, apprezzato dalla critica, dagli addetti ai lavori e dal pubblico. Nella sua carriera e nel suo percorso musicale, questo album rappresenta un punto di svolta?
«Certamente. Anche se il mio precedente album Solo Piano!” rompe con tutto ciò che avevo fatto prima, non c’è dubbio che A Long Way segni un prima e un dopo nella mia carriera, dal percorso musicale che segue questo disco al mio modo di comporre e concepire la musica. Durante tutto il processo creativo mi sono sentita benedetta dall’ispirazione che mi veniva data. Avevo la sensazione che dentro di me ci fosse un pozzo inesauribile di idee e, ogni volta che finivo un brano, mi sorprendevo del fatto che stavo creando in un modo che non mi era mai successo prima. È un disco in cui tutti gli elementi che lo compongono (melodie, armonie, testi, strutture, arrangiamenti, interpretazioni…) sono stati curati con estrema attenzione e questo, forse, spiega perché è stato ben accolto dalla critica, dagli addetti ai lavori e dal pubblico».
A Milano si esibirà in trio con il contrabbassista Luca Bulgarelli e il batterista Amedeo Ariano. Ha avuto modo di collaborare e di suonare in passato con altri jazzisti italiani?
«È molto bello lavorare con musicisti italiani come Luca e Amedeo, con i quali ho un buon rapporto musicale e umano. Gli italiani sono persone con un’alta sensibilità artistica e i musicisti, in particolare, hanno il talento di far suonare la musica con grande eleganza. Ho avuto l’opportunità di suonare in uno dei miei primi concerti italiani con il fisarmonicista Antonello Salis. Mi piacerebbe in futuro collaborare con altri artisti italiani».
Qual è la sua opinione sul jazz italiano?
«L’Italia è piena di eccezionali talenti. I musicisti italiani hanno una grande classe. Nel loro modo di fare musica, non solo jazz, trovi quel qualcosa a cui non sai dare un nome, ma che sai essere unico, sensibile, accurato ed elegante. La definirei “anima italiana”. L’Italia è sempre stata una terra che ha dato un grande contributo alla cultura universale in generale e il contributo dei musicisti italiani al jazz è senza dubbio considerevole e ha segnato la storia del jazz. Penso a musicisti come Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi ed Enrico Rava, per citarne solo alcuni. Vorrei nominare anche Pino Daniele, perché la sua musica trasudava jazz da tutti i pori, pur non essendo lui un jazzista puro, e la sua eredità musicale è enorme. Penso anche a musicisti di origine italiana come Joey de Francesco, per il quale Miles Davis provava profondo rispetto e ammirazione, Tony Scott e anche Nicolas Viccaro, batterista franco-italiano, per me uno dei più grandi di questa nuova generazione. Il jazz italiano vivrà per sempre».
Da diversi anni si è trasferita in Francia, un Paese che per cultura e tradizioni musicali è distante da Cuba. Questo importante cambiamento ha influenzato il suo modo di essere musicista? Se sì, come?
«È vero. La cultura cubana e quella francese sono molto diverse, ma alla fine provengono dalla cultura latina. Il fatto di vivere fuori dal mio Paese natale e di trasferirmi proprio in Europa mi ha dato la possibilità di aprirmi ad un modo di fare musica diverso da quello che facevo quando ero a Cuba. Vivo in Francia da diversi anni e ora sono influenzata da tutto ciò che ascolto, non solo dalla musica francese, ma anche dalla musica europea in generale e pure da quella italiana. Vivo influenzata da altre lingue, altri paesaggi, altri colori, dalla quotidianità della mia vita. Ho potuto collaborare sia sul palco sia in studio di registrazione con musicisti europei e di altre latitudini e questo ti obbliga necessariamente ad espandere la tua mente e a pensare, sentire e interpretare la musica in modo diverso».
Quando non è impegnata a suonare, a comporre e a incidere in sala di registrazione, che tipo di musica ascolta?
«Ebbene, non sempre ascolto musica nel mio tempo libero. A volte è necessario il silenzio. Mi capita di farlo quando sono in macchina. Ho una playlist con brani di vari generi. Ci sono Stevie Wonder, Pino Daniele, John McLaughlin, Lucio Battisti, Gregory Porter, Gonzalo Rubalcaba, Juan Luis Guerra e la 4.40, Keith Jarrett… È una grande padella con molti ingredienti».
Quali sono i suoi prossimi progetti?
«Continuerò a portare A Long Way sulla scena. Prima del Blue Note mi esibirò l’11 aprile al Teatro Apollo di Lecce e il 12 sarò all’auditorium Regina Pacis di Molfetta. Farò un concerto con John McLaughlin insieme a giovani talenti del jazz nel mese di maggio a Montecarlo. Poi sarò al Summer Festival alla Casa del Jazz di Roma in giugno, parteciperò a tanti festival estivi e in dicembre tornerò all’auditorium Parco della Musica di Roma».